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Dolore discogenito ed I.D.E.T.
Autore: Mauro Porta
Data:

Dolore discogenito ed I.D.E.T.

 

Mauro Porta

 

“La colonna vertebrale nel bambino e conseguenze nell’età adulta”

Piacenza 13 aprile 2002

 

Centro Terapia del Dolore - Specialista in Fisiatria ed Ortopedia

 

In collaborazione con Maurizio Fornari, Giovanni Luccarelli, Stefania Radice (U.O. Neurochirurgia), Marcello Montolivo, Luca Italiani (U.O. Neuroanestesia), Pieremilia Lusenti (Consulente Fisiatra)

 

Premesse

 

  • Il dolore discogenico è assai frequentemente responsabile di “back pain”, del quale soffre il 5%

della popolazione. Episodicamente, ma in maniera ripetitiva con evoluzione spontanea verso la

guarigione nel 90% in 6-10 settimane. In una percentuale significativa molti pazienti

presentano lombalgia “cronica”.

 

  • I soggetti con dolore lombare cronico od intermittente remittente hanno una bassa “Qualità di

Vita”, costi diretti⁄indiretti intangibili elevati e generalmente hanno “provato” svariate terapie

più o meno cruente (“shopping doctor behavior”).

 

  • Il disco è costituito dall’anulus, dal nucleo e dai piatti limitanti superiore ed inferiore.

L’innervazione dipende da: (a) dalla componente radicolare spinale, (b) dall’innervazione

simpatica paravertebrale, e si trova soprattutto a livello del III posteriore dell’anulus, a livello

nel legamento longitudinale posteriore, nonchè a livello del sacco durale anteriormente.

 

  • L’istologia del disco è ben nota: vi è una parte centrale collagenica indovata in uno stroma

proteico ricco in mucopolisaccaridi, con lamelle connettivali che dall’anulus si protendono verso

le vertebre sopra e sotto giacenti.

 

  • La percentuale acquosa discale raggiunge il 70-80%; tale componente diminuisce con l’età

(degenerazione). L’idratazione invece aumenta in posizione di scarico (per es. la notte, durante

il risposo) con aumento della pressione intradiscale al risveglio.

 

  • Il dolore discogenito è strettamente dipendente dall’aumento patologico (o provocato) della

pressione intradiscale e soprattutto dall’alterazione delle lamelle anulari che, una volta

alterata la funzione di “giunto cardanico” ricevono abnormi stimolazioni raccolte dal nervo

sinuvertebrale per la presenza di forze centrifughe patologiche. A tali alterazioni corrisponde

uno scompaginamento della componente collagenica.

 

  • Le strutture discali, a livello lombare, costituiscono la parte anatomica avascolare più estesa

dell’organismo.

 

  • La pressione intradiscale normalmente varia da 12 mmHg in posizione prona, per passare a 20

mmHg in decubito laterale, a 71 mmHg in posizione eretta. Stando seduti la pressione

intradiscale raggiunge gli 83-85 mmHg, per salire a 176-178 mmHg chinandosi in avanti: ciò è

stato verificato sperimentalmente nel giovane adulto di 25-30 anni.

 

  • In sintesi si può affermare che vi sono situazioni patologiche nelle quali i processi degenerativi

comportano “scarico” delle forze applicate al disco lungo le pareti anulari con produzione di

dolore. I processi degenerativi corrispondono ad alterazioni stromali. Ciò si può verificare anche

in situazioni patologiche erniarie contenute, dovute a mobilitazione “interna” del nucleo polposo, con conseguente slaminamento anulare e sollecitazioni abnormi recettoriali algogene.

In genere vi è anche aumento della pressione intradiscale.

 

  • Il dolore viene provocato dall’azione di sostanze neuro e⁄o citotossiche liberate in loco

(bradichinina, radicali liberi, istamina, leucotrene, etc.).

 

  • Una componente: (a) neurogenica e (b) nocicettiva vanno distinte anche nel dolore discogenico. Il

dolore discogenico sia a livello clinico, che anatomo patologico va per altro differenziato da

quello in caso di ernia discale più o meno espulsa, responsabile di un processo neurodocitico

(cioè a carico del ganglio trofico, che si trova lungo la radice posteriore spinale).

 

Diagnosi del dolore disco genico

 

Non è spesso agevole. In genere si tratta di pazienti con:

 

  • algia assai viva in posizione seduta. Il dolore è presente anche in posizione eretta, ed è

esacerbato dai movimenti di anteroflessione (un dolore nei movimenti trasversali evoca piutosto

una patologia zigoapofisaria; va anche diagnosticato correttamente un eventuale dolore da

sindrome miofasciale a carico del m. ileopsoas, del m. piriforme);

 

  • il dolore o può comparire a letto, specie il mattino, o quando si cambia posizione: ciò è dovuto ai

processi spontanei di reidratazione con conseguente aumento della pressione intradiscale, come

già accennato;

 

  • il “back pain” da patologia discale aumenta sotto sforzo (colpi di tosse, ponzamento, etc...): ma

risparmia “tipicamente” i territori innervati dal n. femorale e⁄o sciatico. Talvolta vi possono

essere algie che “scendono” dall’attaccatura delle cosce e in regione inguinale: ciò è dovuto al

fatto che il dolore segue una “rappresentazione” propria dell’innervatura simpatica. Da notare

che comunque il n. sinuvertebrale ha una topografia multimetamerica (almeno 2-3 metameri

sono innervati dallo stesso nervo) ed ha distruibuzione bilaterale;

 

  • alla RNM è caratteristico il reperto del “black disk”. Nei casi dubbi un esame CT escluderà

patologia francamente erniaria. L’EMG è negativa;

 

  • vanno esclusi ovviamente a livello diagnostico patologie concomitanti (discitiche, sistemiche,

etc...).

 

Una volta fatta la diagnosi di dolore discogenico al paziente sono proposte diverse opzioni terapeutiche (più o meno invasive: cioè che vanno dagli interventi di fissazione alle “gabbiette”, ai dischi artificiali, alla semplice fisioterapia od all’ortesi “mirata”). Importante è verificare la dimensione dello spazio discale: se questo è conservato per almeno 2⁄3, allora si può proporre al paziente l’I.D.E.T., cioè l’elettrotermo-terapia intradiscale percutanea.

 

Prima di effettuare l’I.D.E.T. sono in corso altri 2 test selettivi:

 

  • la discografia “classica” che appare però sempre più soppiantata dalla RNM che permette

un’ottima visualizzazione della struttura discale (normale e patologica);

 

  • la discomanometria “evocatrice” di dolore, che si ottiene aumentando, attraverso l’introduzione

di soluzione fisiologica (o mezzo di contrasto non iodato), la pressione intradiscale e chiedendo al

paziente se l’aumento della pressione intradiscale riproduce appunto il “suo” dolore. Ciò permette anche una scelta di livello su cui intervenire con l’I.D.E.T., oltreché la conferma diagnostica.

 

I.D.E.T.

 

  • Si tratta di un intervento percutaneo da eseguirsi in scopia, con paziente in decubito laterale o,

meglio, prono in situazione di assoluta sterilità, sedazione generale, previo consenso informato.

 

  • La procedura è stata messa a punto negli Stati Uniti da Saal e Saal, e la strumentazione è

prodotta dall’Oratec, branca della Dupuy AcroMed (USA). Per il momento in Italia l’unica sede dove tale intervento mininvasivo viene eseguito è l’Istituto Galeazzi di Milano, presso l’U.O. di Neurochirurgia. Sono necessari 1-2 giorni di ricovero e la procedura ha dei tempi di durata complessivi da 30 a 45 minuti.

 

  • L’intervento si basa sull’introduzione in regione perianulare di una sonda flessibile che viene

riscaldata così da ottenere una sorgente di calore fino a 90º (cfr. n. 3 figure).

 

 

  • Da notare che le strutture nervose del n. sinu-vertebrale sono neutralizzate a 45º.

 

  • Le molecole di collagene tipo I e tipo II vengono contratte dal calore ritrovando la disposizione

tridimensionale in triplice elica con i ponti idrogenionici. L’effetto sul collagene (da cui il nome

termoplastica) è raggiunto tra i 65º e 75º.

 

  • La contrazione collagenica comporta anche una riduzione volumetrica discale con conseguente

diminuzione della pressione intradiscale. La riduzione volumetrica a livello anulare è stata

calcolata in media del 14%.

 

  • Ai fini della “safety”, cioè del non danneggiamento di strutture vicine, va tenuto presente che - a

catetere posizionato correttamente e controllato in scopia in laterale ed A-P - quando la

temperatura della sonda raggiunge i 90º, a livello del tessuto adiacente la dispersione del calore

comporta un aumento della temperatura a 75º. A livello della parete esterna anulare la

temperatura non supera i 40-42º; a livello epidurale 38º.

 

  • Dopo la procedura è necessario un periodo di riabilitazione sino a 3-6 mesi. Tale programma è

“mandatory” ed al paziente va “ben” spiegato come non debba attendersi risultati “immediati”.

 

Casistica personale

 

Presso l’U.O. di Neurochirurgia dell’Istituto Galeazzi di Milano, dove opera il Centro di Terapia del

Dolore dall’agosto u.s. sono stati eseguiti:

 

o        89 procedure I.D.E.T.

 

o        15 casi sono stati fatti in decubito laterale; tutti gli altri in posizione prona, da preferirsi

per la possibilità di effettuare un approccio bilaterale, ancorché non siano state dimostrate difficoltà e⁄o problematiche anestesiologiche.

 

o        La procedura è stata effettuata in C.O., più raramente in sala angiografica con “biplano”.

La competenza di un’infermiera professionale è indispensabile: non solo per quanto riguarda la strumentazione, ma anche circa l’impiego corretto dell’apparecchiatura.

 

  • Tutti i pazienti hanno effettuato uno screening generale ed uno centrato sul “back pain”: si è

trattato di soggetti che soffrivano di lombalgia cronica (cioè da più di 1 anno) ovvero di lombalgia intermittente-recidivante. É stata usata a questo proposito la scala di Granger: Beckill Scale.

 

  • 45 pazienti, dei 96 che hanno subito l’I.D.E.T. sono stati controllati a più di 3 mesi dal

trattamento con risultati positivi nel 82%. La Backill scaling non si è mostrata purtroppo uno

strumento idoneo: troppe variazioni intra ed interindividuali sono emerse così da poter usare la

Scala di Granger agevolmente. La valutazione adottata è stata quella soggettiva; basata sulle

domande “coma sta? (1) meglio di prima dell’I.D.E.T. (2) come prima (3) peggio”.

 

  • Si è controllata la compliance mediante visite ad 1 mese dalla procedura; durante questo primo

mese dall’I.D.E.T. si è chiesto ai pazienti di indossare un bustino semirigido, ed agli stessi è stato fornito un programma dettagliato di riabilitazione da seguire scrupolosamente.

 

  • Non si sono registrate complicanze nervose in questi primi casi di 89 pazienti sottoposti ad

I.D.E.T. In 1 caso si è spezzato il catetere a livello intradiscale; si è proceduto alla sua rimozione mediante approccio mininvasivo senza problemi conseguenti.

 

  • Non si sono avute complicanze settiche.

 

  • Pazienti con ripresa “più lenta” e con persistenza del dolore in fase subacuta sono stati seguiti

dalla D.ssa Pieremilia Lusenti al fine di ottenere una buona ripresa funzionale.

 

  • Non sono stati registrati peggioramenti della clinica a 3 mesi dall’intervento, ancorché 7-8

pazienti si sono lamentati sino a 8-10 settimane di algie lombari più o meno importanti,

talvolta più “vive” rispetto al periodo preprocedura.

 

  • I casi già sottoposti ad interventi chirurgici (precedenti discectomie⁄stabilizzazioni) hanno

mostrato con prognosi meno favorevole e soprattutto l’esecuzione dell’I.D.E.T. è stata

tecnicamente più difficile.

 

  • Nel 12% dei casi trattati si è ricorso ad un approccio bilaterale al fine di ottimizzare il corretto

posizionamento del catetere.

 

  • Degli 89 casi a tutt’oggi trattati 63 hanno avuto nella stessa seduta I.D.E.T. in 2-3 livelli

lombari.

 

  • La discomanometria “evocatrice” di dolore sembra essere assai più utile della discografia

“classica”. Questa in taluni casi è stata eseguita utilizzando m.d.c. assai diluito: e l’immagine non è stata ottimale. Quando la concentrazione del m.d.c. è stata ottimale ma non si egrave; potuto procedere immediatamente ad I.D.E.T., l’intervento è stato rimandato di qualche settimana al fine di verificare in scopia il cammino corretto intradiscale della sonda.

 

  • Il monitoraggio delle radiazioni ionizzanti del personale medico è fatto routinariamente.

 

  • Un training specifico dell’operatore è indispensabile trattandosi di procedura complessa e non

scevra da potenziali pericoli (immediati ed anche ritardati).

 

Conclusione

 

Nel trattamento del dolore discogenico, l’I.D.E.T. riveste un ruolo importante per:

 

  • l’interessante rapporto costo⁄utilità (Qualità della Vita del paziente)

 

  • il fatto di costituire una procedura mininvasiva

 

  • e non condizionante approcci “maggiori” eventualmente seguenti.

 

 

La procedura si è dimostrata in base ai dati della letteratura e dell’esperienza personale dotata di una

buona efficacia (circa 80% di successo terapeutico), con un’ottima sicurezza di impiego se nelle mani di

operatori esperti. La motivazione dei pazienti-candidati è necessaria: si tratta di procedura sicura che

abbisogna di tempi terapeutici lunghi.

 

L’I.D.E.T. si è mostrato a tutt’oggi efficace:

 

  • nel ridurre il dolore discale per neutralizzazione dei recettori nervosi anulari;

 

  • nel rimaneggiare lo stroma connettivale (azione plastica);

 

  • nel ridurre moderatamente la pressione intradiscale.

 

Il suo successo in Italia dipenderà dall’uso appropriato che se ne farà, dalla sua collocazione negli

algoritmi terapeutici inerenti la lombalgia, dalla compliance dei malati, e non ultimo dalla

collaborazione tra i vari “addetti ai lavori”. Iniziali “trionfalismi” per le tecniche innovative sono da

temersi: detto ciò è presumibile che all’I.D.E.T. vada riservato un posto in primo piano (e di prima

scelta) nella gestione del “back pain”.

 

** L’Autore ringrazia il personale infermieristico della C.O. della U.O. di Neurochirurgia in particolare: Antonietta De Rinaldis, Monica Farina, Annalisa Troiano, Danilo Frigerio e tutti gli altri colleghi per la fattiva collaborazione.