La terapia medica dell’osteoporosi
Claudia Concesi
IX Congresso Internazionale S.I.R.E.R. “Il rachide lombare”
Cappella Ducale di Palazzo Farnese - Piacenza 30 settembre - 2 ottobre 2004
Responsabile del Coordinamento Gestionale Dipartimentale di Reumatologia e Immunologia Ausl di Piacenza
L’osteoporosi è una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da una ridotta massa ossea, con
alterazioni della microarchitettura e conseguente aumento della fragilità dell’osso e della suscettibilità
alle fratture.
Fisiologia dell’osso
Il calcio è presente nel nostro organismo in grandi quantità a livello dello scheletro, che contiene il 99%
del calcio corporeo totale.
Il CALCIO plasmatico circolante, è essenziale per alcuni fenomeni biologici quali l’eccitabilità
muscolare e miocardica, la coagulazione, eccetera. Perché questi fenomeni avvengano in modo fisiologico
è indispensabile che la calcemia sia costante (9-11 mg⁄dl).
Per mantenere concentrazioni di calcio così costanti, l’organismo dispone di complessi meccanismi di
regolazione per lo più ormonali.
Lo scheletro deve essere quindi considerato un enorme serbatoio di calcio, da cui il nostro organismo
attinge per le proprie necessità. Tali scambi rendono ragione del continuo rimodellamento cui lo
scheletro viene sottoposto durante tutta la vita.
Il calcio, introdotto con la dieta, viene assorbito a livello della mucosa del duodeno e digiuno tramite un
meccanismo attivo controllato dalla vitamina D.
A livello renale il calcio filtrato dal glomerulo viene riassorbito nella misura del 97-98%.
Se il bilancio (rapporto tra calcio ingerito e calcio eliminato) è negativo verrà mobilizzato calcio osseo, se
è positivo il calcio in eccesso verrà fissato nelle ossa.
Il FOSFORO partecipa con il calcio alla formazione della idrossiapatite, che rappresenta la principale
componente minerale dell’osso. Diversamente che per la calcemia, l’organismo tollera ampie variazioni
della fosforemia senza gravi problemi. I meccanismi ormonali che regolano il bilancio del calcio sono gli
stessi che controllano quelli del fosforo.
Patogenesi dell’osteoporosi
L’osteoporosi si instaura quando si determina uno squilibrio tra neoformazione e riassorbimento osseo.
Il rimodellamento dello scheletro viene regolato da fattori sistemici e fattori locali.
Fattori sistemici: ormoni calciotropi (PTH, Calcitonina), altri ormoni (estrogeni, androgeni,
glucocorticoidi, tiroxina, GH, insulina), alcuni ioni (calcio, fosforo, fluoro).
Fattori locali: prostaglandine, citochine. Esse regolano la funzione degli osteoclasti e degli osteoblasti. Il
loro effetto osteopenizzante rende ragione dell’osteoporosi iuxta-articolare presente nelle artriti.
Le correnti piezoelettriche che vengono generate dalle compressioni e dalle trazioni sui cristalli, che
formano la parte minerale dell’osso, costituiscono un potente stimolo di attivazione osteoblastica.
Una ridotta attività fisica rappresenta quindi un importante fattore di rischio di osteoporosi, così come
la magrezza, che comporta una ridotta stimolazione meccanica sul tessuto osseo, il fumo, l’alcol, la
menopausa precoce, ed una alimentazione carente in calcio e vitamina D.
Trattamento farmacologico dell’osteoporosi
Unico obiettivo del trattamento farmacologico dell’osteoporosi è la prevenzione delle fratture.
La decisione di trattare un paziente osteoporotico con farmaci va presa caso per caso, considerando l’età,
il “lifetime risk” e naturalmente l’efficacia dimostrata da esperienze cliniche.
I parametri che condizionano la scelta sono il T score densitometrico del paziente al momento
dell’osservazione ed il significato che il T score assume in relazione ad altri parametri (età, aspettativa
di vita, presenza di fattori di rischio extra-scheletrici …).
In quali pazienti instaurare una terapia?
- nei pazienti di età < 60 anni se T score <= 2 in assenza di fattori di rischio
se T score <= 1.5 in presenza di fattori di rischio
- nei pazienti tra 60 e 70 anni se T score <= 2.5
- in tutti i pazienti oltre 70 anni con fattori di rischio
- nei pazienti di qualunque età con pregressa frattura osteoporotica
Quale farmaco utilizzare?
- stimolatori della formazione ossea
- inibitori del riassorbimento osseo
Gli stimolatori della formazione ossea utilizzabili in terapia appare assai esiguo se confrontato con
quello degli antiriassorbitivi.
Agenti stimolanti sono l’ormone paratiroideo, il ranelato di stronzio (entrambi non disponibili in Italia)
ed il fluoro. Il fluoro ha sull’osso 2 effetti principali: stimola l’attività degli osteoblasti incrementandone
il numero e determina la formazione di cristalli di fluoroapatite, sostituendosi al gruppo ossidrilico
dell’idrossiapatite. In Italia è disponibile per la terapia orale sotto forma di fluoruro di sodio e di
monofluorofosfato, con l’aggiunta di eccipienti che ne limitano gli effetti lesivi gastrointestinali. Per
quanto riguarda l’efficacia tutti gli studi riportano concordemente un incremento della densità minerale
nei pazienti trattati, ma non vi è accordo sulla reale attività di prevenzione delle fratture. Secondo
alcuni autori il trattamento con fluoruri farebbe addirittura incrementare il rischio di fratture non
vertebrali. I dati discordanti ne limitano attualmente l’impiego a favore di altri farmaci più largamente
studiati e più maneggevoli, come gli:
Inibitori del riassorbimento osseo
CALCITONINA
Ormone polipeptidico ipocalcemizzante prodotto dalle cellule C della tiroide. La sua attività
farmacologia è quella di inibire l’attività degli osteoclasti rallentando così il riassorbimento osseo. Ha
un’attività antalgica indipendente dall’azione scheletrica, utile nell’osteoporosi dolorosa e nella
sindrome di Sudeck. Attualmente poco utilizzato, per la commercializzazione di farmaci più efficaci e
meglio tollerati.
METABOLITI ATTIVI DELLA VITAMINA D
Il calcitriolo incrementa l’assorbimento intestinale di calcio, riduce i livello di PTH e quindi il
riassorbimento osseo. La sua azione nell’osteoporosi è stata valutata in numerosi studi, tuttavia i
risultati ottenuti sono spesso contraddittori. Il dosaggio più adeguato per incrementare la massa ossea e
tra 0.5 e 0.8 mcg⁄die, accompagnato da introito giornaliero di almeno 800 mg di calcio. Il calcitriolo ha
un buon profilo di tollerabilità, ma richiede monitoraggio della calciuria per prevenire la formazione di
calcoli.
ESTROGENI
Vengono impiegati come terapia sostitutiva della menopausa sia da soli (ERT Estrogen Replacement
Therapy), che in associazione con progestinico (HRT Hormone Replacement Therapy). Il razionale della
terapia sostitutiva risiede nell’osservazione che la riduzione della produzione di estrogeni dopo la
menopausa si associa ad un aumento del turnover osseo, che può indurre una perdita accelerata di
massa ossea, particolarmente evidente nei primi anni di menopausa.
L’estrogeno riduce il turnover osseo riportandolo ai livelli premenopausali.
La dose efficace è di 0.625 mg⁄die se si impiegano gli estrogeni coniugati o di 50 ug⁄die se si usa l’estriolo
per via transdermica.
Per mantenere l’efficacia antifrattura il trattamento ERT andrebbe continuato indefinitamente, con
conseguente aumento di incidenza di eventi trombotici e di neoplasie mammaria e uterina. Al momento
dell’interruzione della terapia è opportuno iniziare terapia antiriassorbitiva con altro farmaco.
SERM (Selective Estrogen Receptor Modulators)
I farmaci di questa classe sono composti sintetici di natura non ormonale in grado di interagire con i
recettori degli estrogeni svolgendo un’azione biologica estrogeno-agonista (osso, metabolismo lipidico) ed
estrogeno-antagonista (mammella, utero).
RALOXIFENE, SERM di seconda generazione, rispetto al tamoxifene, SERM di prima generazione, è
completamente antagonista degli estrogeni a livello uterino.
In uno studio multicentrico su 7.700 pazienti si è osservato che il Raloxifene riduce il rischio di fratture
vertebrali, mentre non influenza il rischio di fratture non vertebrali. Il Raloxifene non agisce sui
sintomi della menopausa, quali le vampate di calore, ma è protettivo sull’apparato cardiovascolare e
sulle funzioni cognitive.
Anche se gli effetti sulla massa ossea sono inferiori rispetto ai bifosfonati, la riduzione del rischio di
fratture vertebrali autorizza a considerare il trattamento con Raloxifene efficace nella prevenzione e
nella terapia dell’osteoporosi, con rischi inferiori rispetto agli estrogeni, in quanto non stimola il tessuto
mammario ed uterino. Aumenta il rischio d’incidenza delle trombosi venose (dallo studio MORE
l’incremento di rischio assoluto è pari allo 0.2% annuo, ma dipende ovviamente dalla presenza
eventuale di altri fattori di rischio).
BIFOSFONATI
Sono sostanze di sintesi analoghe al pirofosfato organico, che in natura agisce come inibitore sia della
formazione dei cristalli di fosfato di calcio, che della loro dissoluzione.
I B. hanno la proprietà di legarsi alla matrice mineralizzata e di inibire sia la formazione che la
disintegrazione dei cristalli di fosfato tricalcico (idrossiapatite) mediante un’inibizione elettiva
dell’attività degli osteoclasti.
ETIDRONATO
È stato il primo B. impiegato nell’uomo. Pur rilevandosi un incremento della densità minerale ossea
variabile dall’1 al 5 % nei distretti vertebrale e periferici, con un’ apparente riduzione del rischio
relativo di fratture vertebrali, tali benefici non persistono nel tempo: in uno studio condotto per 3 anni
al terzo anno la differenza nel numero di fratture vertebrali nei gruppi trattati e nel gruppo placebo non
risulta essere significativa. Una metanalisi pubblicata nel 2001 mostra una significativa riduzione del
rischio di fratture vertebrali (-37%) ma non delle fratture non vertebrali.
CLODRONATO
È utilizzato in molte patologie ossee caratterizzate da aumentato riassorbimento, come la malattia di
Paget, la metastasi osteolitiche e l’ipercalcemia neoplastica. Ha un buon effetto antidolorifico e trova
quindi applicazione nell’osteoporosi associata a dolore.
ALENDRONATO
Per questo farmaco esiste una completa documentazione di efficacia nella prevenzione delle fratture,
con risultati coerenti in molti studi: nella donna il rischio di frattura è ridotto del 50% a livello
vertebrale, radiale e femorale, del 30% in tutti gli altri siti non vertebrali; nell’uomo e negli utilizzatori
di steroidi del 90%. La posologia: 10 mg⁄die e 70 mg⁄settimana risultano avere pari efficacia. I B. orali si
associano spesso a disturbi del tratto gastro-esofageo (esofagite anche severa, ulcere…).
RISEDRONATO
È l’unico farmaco ad avere evidenze di efficacia paragonabili all’alendronato.
Posologia: 5 mg⁄die o 35 mg⁄settimana hanno la stessa efficacia. È un farmaco ben tollerato: in uno
studio su oltre 5.000 pazienti gli effetti collaterali sono stati analoghi a quelli osservati nel gruppo
placebo.
Sono allo studio nuove terapie di combinazione e si stanno sviluppando nuove strategie combinate
(farmaci + prevenzione di cadute) per migliorare a qualità di vita del paziente con osteoporosi.
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