Mezzo secolo nel trattamento chirurgico delle scoliosi
Yves COTREL
IX Congresso Internazionale S.I.R.E.R. - “Il Rachide Lombare”
Cappella Ducale di Palazzo Farnese - Piacenza 30 settembre - 2 ottobre 2004
La scoliosi.
L’ho incontrata per la prima volta 55 anni fa, all’Institut Calot di Berck.
Dall’inizio del secolo i pazienti colpiti da affezioni osteoarticolari, soprattutto tubercolose, vi affluivano
da ogni parte.
Stesi sulle loro “gouttières” (docce contenitive), questi carrelli piatti tipici di Berck, vi passavano degli
anni.
L’immobilizzazione delle articolazioni malate, l’incisione degli ascessi freddi, le medicazioni delle fistole,
con, ovviamente, la cura elio-marina, costituivano il fulcro del trattamento, in quest’epoca in cui gli
antibiotici antitubercolosi non erano conosciuti.
Nella sala gesso in cui si concentrava l’attività medica principale, scoprii ben presto bambini colpiti non
da tubercolosi, ma da deformazioni di crescita dello scheletro, in particolare della colonna vertebrale.
Le scoliosi che venivano inviate a Berck erano scoliosi gravi, impressionanti.
Queste deviazioni laterali del rachide progredivano al ritmo della crescita sui 3 piani dello spazio
determinando deformazioni toraciche con conseguenze morfologiche, fisiologiche ed ovviamente
psicologiche spesso temibili.
Si tentava allora, come per le gibbosità causate dal morbo di Pott, di correggerle in grandi corsetti
gessati con sovrapposizione di quantità crescenti di placche di feltro, secondo una tecnica inalterata da
più di 50 anni.
Il dottor Calot, dalla fine del XIX secolo, era stato il luminare della riduzione forzata delle deformazioni
del morbo di Pott, la tubercolosi vertebrale. Il paziente veniva anestetizzato con una compressa di
cloroformio, gli aiuti esercitavano una trazione sulla testa e sugli arti inferiori ed il maestro riduceva
con i suoi pollici ed i suoi pugni la sporgenza del rachide.
Nel 1910 un medico americano, E.G. Abbott di Portland, nel Maine, venne a Berck per fare la prima
dimostrazione in Europa del suo metodo per correggere le scoliosi. Calot adottò con entusiasmo le sue
idee e la sua tecnica. Egli la descrisse nel 1913 in un libro intitolato “Guarigione dalla scoliosi” nel quale
spiegava come procedeva: “Per verificare la capacità di guarigione di un soggetto, scrive, lo si mette sul
tavolo di Abbott tutti i giorni, o ogni due giorni, per mezz’ora ogni volta. Si tendono le cinghie di
trazione e di detorsione per vedere il grado di plasticità dello scheletro ed anche la tolleranza ed il
coraggio del paziente durante queste manovre”.
Dopo di ciò il corsetto gessato è confezionato in posizione di flessione anteriore forzata.
La correzione verrà in seguito progressivamente accentuata introducendo regolarmente delle nuove
placche di feltro sotto il gesso lateralmente per ridurre la curvatura scoliotica e in avanti per accentuare
la cifosi e aprire le articolazioni posteriori del rachide. Era poco confortevole.
Alla fine del trattamento, il paziente veniva dotato di un corsetto in celluloide che doveva, il più delle
volte, indossare per tutta la vita.
Io imparai a fare questi corsetti e ad imporli ai pazienti che avevo in cura. Dovevo rapidamente
constatare che la soppressione della posizione eretta non impedisce alla scoliosi di progredire durante la
crescita, che l’immobilizzazione permanente in corsetto gessato aziona una fonte muscolare importante,
che la correzione forzata delle sporgenze costali aggrava il dorso incavo, accentua la riduzione
dell’ampiezza e, quindi, del volume respiratorio, ed infine che una perdita di correzione significativa
interviene successivamente all’ablazione del corsetto gessato.
Occorreva, al contrario, evitare il riposo a letto prolungato durante il giorno, allenare il paziente ad
un’attività fisica e sportiva sulla spiaggia, intensificare la rieducazione respiratoria in gesso ed
effettuare, a fine trattamento, una greffe vertebrale per saldare fra di loro le vertebre della curvatura
scoliotica nella migliore posizione di correzione ottenuta.
1953
Il primo intervento chirurgico per scoliosi all’Institut Calot viene effettuato dal Professor Jean
Cauchoix.
La correzione era stata ottenuta nel “gesso a cerniera ” di Risser.
Questo gesso comportava una parte superiore che cingeva la cintura scapolare ed una parte inferiore
che fissava il bacino e la coscia del lato della convessità. Una cerniera metallica piazzata davanti e
dietro alla sommità della deviazione scoliotica permetteva di basculare le due parti una sull’altra e di
aprire progressivamente la curvatura del segmento da riunire.
Utilizzammo in seguito il corsetto gessato di detrazione di Stagnara. Questo causava lo stiramento del
tronco fra la testa ed il bacino attraverso due viti a passi divergenti incassate nel gesso da ogni lato del
corsetto, che eliminavano inoltre qualsiasi rischio di disequilibrio laterale. Ma occorreva costantemente
monitorare i punti di appoggio cutanei per individuare le escare a livello del mento e del bacino che
comparivano in modo insidioso.
Quando la correzione desiderata era ottenuta, la greffe vertebrale era realizzata nel gesso, mediante
decorticazione “à la gouge” degli archi posteriori delle vertebre e mediante apposizione sul letto
vertebrale cruentato da lembi da innesto ossei prelevati dall’osso iliaco del paziente.
L’operato restava sdraiato nel suo gesso da 12 a 18 mesi, sino all’apparizione radiologica di una fusione
ossea continua e densa, e mantenuto in seguito in un corsetto indossato abitualmente sino alla fine
della crescita.
435 casi furono così operati all’Institut Calot con apposizione di lembi iliaci autogeni.
Nei casi gravi, una perdita di correzione non era eccezionale.
Per evitarla, sembrò necessario incastrare un sostegno osseo solido fra le vertebre estreme della
curvatura scoliotica, in base ad una tecnica messa a punto nel 1954 da Monsieur Cauchoix.
A partire dal 1957
Un nuovo corsetto gessato di correzione sostituisce il gesso di detrazione.
Sarà realizzato in un quadro metallico speciale.
Assembla le diverse tecniche sino a quel momento utilizzate separatamente: l’allungamento di
Stagnara, la derotazione di Abbott.
Si vede qui il dorso prima e dopo la messa in tensione delle bande e la flessione laterale di Risser.
Per questa ragione è chiamato E.D.F. (Elongation, Dérotation, Flexion). (fig.1)
Più leggero, meno costrittivo ed ugualmente efficace, permette la mobilizzazione attiva del rachide ed
una rieducazione muscolare e respiratoria intensiva prima delle chirurgia.
Associa correzione passiva e correzione attiva.
L’intervento sarà realizzato in questo gesso E.D.F. che sarà richiuso dopo l’intervento.
Questa tecnica di correzione pre-operatoria non ha accresciuto in modo sensibile il guadagno angolare in
rapporto alla serie precedente, ma ha determinato un miglioramento morfologico e funzionale molto
importante.
1964
Il paziente è operato per la prima volta fuori dal gesso in trazione del rachide.
Questa è ottenuta mediante due carrelli scorrevoli su rotaie fissate sul tavolo chirurgico.
Nei casi più gravi, per ridurre la durata dell’intervento e la perdita di sangue, un lembo corticale d’osso
di tipo eterogeneo, massiccio, prelevato da una tibia di vitello o di pollo, è incastrato fra le apofisi
spinose delle vertebre estreme della curvatura scoliotica, dove è fissato da una clip metallica.
Costituisce un arco che spinge solido.
In questa serie, la ripresa della posizione eretta fu allora autorizzata ad 8 mesi dall’intervento.
248 fusioni vennero effettuate con innesto eterogeneo incastrato. A seguito di qualche caso di frattura o
di rigetto dell’innesto, fu abbandonato.
1968
La correzione-fusione è effettuata dopo un periodo da 2 a 3 settimane di trazione continua auto-attiva.
Grazie ad un sistema di pulegge fissate sul suo carrello, il paziente determina lui stesso ogni giorno
l’allungamento della sua colonna vertebrale stendendo i suoi arti inferiori.
Può così partecipare attivamente all’elasticizzazione e al raddrizzamento della sua deformazione del
rachide ed aumentare l’ampiezza del gioco respiratorio costale e diaframmatico.
Un tavolo chirurgico speciale è realizzato per combinare su di un soggetto in posizione prona le 3 forze
di correzione dell’E.D.F.
Un divaricatore dinamometrico permette di accentuare l’allungamento sul solo segmento da fondere.
L’innesto corticale, prelevato sulla tibia del paziente da una seconda equipe chirurgica, è incastrato fra
ganci metallici fissati sulle vertebre estreme.
Le apofisi trasverse del lato della convessità sono sezionate alla loro base all’apice della deviazione per
permettere la riduzione progressiva sotto gesso della gibbosità scoliotica, attraverso una pressione
costale ottenuta mediante una camera di un pallone da calcio gonfiata con una pompa da bicicletta.
187 casi furono operati in questo modo dal 1968 al 1973.
1973
La correzione operatoria è aumentata combinando lo stiramento assiale attraverso una barra metallica
munita di tacche a una delle estremità (Harrington), e la trazione trasversale a mezzo di un dispositivo
speciale messo in tensione all’appico della curva scoliotica.
Questo dispositivo di trazione trasversale (D.T.T.) permette di riavvicinare all’asse mediano del tronco
le vertebre più laterali, attraverso l’avvitamento di un dado su di una barra filettata.
Grazie all’accresciuta stabilità del montaggio, la rimessa in piedi può essere autorizzata dalla prima
settimana dopo l’intervento e l’ablazione del gesso nei termini successivamente abbreviati, 8, 6 e 4 mesi.
Dal 1973 al 1976 furono operati, secondo questa tecnica, 295 casi. (fig. 2)
1977
Classificato per motivi di salute invalido definitivo, ho dovuto cessare qualsiasi attività professionale,
lasciare l’Institut Calot e ritirarmi prematuramente in Bretagna, mio paese d’origine. In una vecchia
casa di campagna bretone avevo creato un piccolo laboratorio nel quale furono condotte, dal 1979 al
1982, le ricerche al fine di migliorare la tecnica operatoria. Queste ricerche avevano come fine quello di
trovare una strumentazione capace di realizzare simultaneamente la correzione tridimensionale della
deformazione scoliotica e una fissazione interna del solo segmento raddrizzato sufficientemente solido e
stabile da evitare al paziente qualsiasi immobilizzazione esterna post-operatoria dell’insieme della sua
colonna vertebrale.
Questi lavori dovevano condurre alla messa a punto di una nuova strumentazione metallica
impiantabile, fatta da tre elementi: la barra, gli impianti (ganci e viti) ed i D.T.T., un vero e proprio
gioco di Meccano.
Le barre, la cui superficie era coperta da asperità, non comportavano né tacche né tenone, dunque
niente affatto debole.
Il corpo degli impianti era percorso da un canale nel quale la barra poteva scivolare liberamente, prima
di essere fissata su di essa da una vite di fissaggio.
Gli impianti erano posizionati ad ogni livello ed in ogni posizione di rotazione in divaricamento o in
avvicinamento, a seconda del tipo di deviazione.
Così divenne possibile realizzare dai due lati del rachide delle prese multiple, delle prese vertebrali e
delle correzioni segmentarie a piani.
Le due barre identiche, posizionate ad ogni lato del rachide, dovevano essere riunite alle loro estremità
da un D.T.T. che fungeva da tirante e che permetteva di costruire un quadro rettangolare stabile e
solido. Costituiva una vera armatura interna, che sosteneva e fissava il segmento operato, e che era
complementare a tutti gli elementi impiantati.
Realizzate in un acciaio specifico, rifuso sotto vuoto per eliminare ogni traccia residua, le barre potevano
essere incurvate anche di molto senza una diminuzione della loro resistenza meccanica.
È questo materiale che presentai una sera di dicembre del 1982 a Jean Dubousset.
1983
Il primo intervento detto C.D. fu effettuato con Jean Dubousset il 21 gennaio all’Hopital Saint-Vincent de Paul de Paris su di un caso particolarmente difficile, un giovane uomo colpito dalla malattia di Friedrich. La correzione ipotizzata fu ottenuta. Fu alzato nei giorni seguenti senza né gesso né corsetto.
(fig.3 Yves Cotrel e Jean Dubousset)
È con Jean Dubousset per i bambini e Michel Guillaumat per gli adulti all’Hopital Saint Joseph che
furono definite le strategie e le modalità tecniche d’utilizzo di questa nuova strumentazione. (fig. 4&5.
Primo caso adulto 36 anni)
Noi osservammo che la rotazione verso la concavità di una barra curvata secondo la curvatura
scoliotica, permetteva nelle forme elastiche di correggere la deviazione sui tre piani dello spazio, vale a
dire di realizzare simultaneamente di fronte il raddrizzamento della cerniera frontale, sul piano trasversale la correzione della rotazione apicale e di lato la ristrutturazione delle curvature fisiologiche
del rachide.
Il D.T.T. assicurava in seguito la stabilità dell’insieme del montaggio.
Oggi
Grazie a tutti coloro che hanno contribuito a mettere a punto tecnica e strategia, a tutti coloro che
hanno messo a disposizione la loro esperienza, il loro pensiero e le loro innovazioni, la strumentazione
C.D. continua a perfezionarsi e ad estendersi ad indicazioni sempre più numerose di instabilità del
rachide, fratture, tumori, degenerazione artrosica, neurochirurgia, ecc.
In uno studio recente sulla “storia della chirurgia del rachide nel mondo”, John Longstein e Robert B.
Winter, del Twin Cities Scoliosis Center di Minneapolis, presentano i contributi successivi al
trattamento delle deformazioni nel corso del XX secolo.
I progressi raggiunti negli ultimi 45 anni sono impressionanti.
1959
- ospedalizzazione:5 settimane
1975
- ospedalizzazione dalla vigilia dell’intervento a 10 giorni dopo
- 3-4 giorni di allettamento
2004
- ospedalizzazione: il giorno dell’intervento
- fatti sedere il giorno successivo
- deambulazione al secondo giorno
- ritorno a casa al quarto o al quinto giorno post-operatorio senza nè gesso nè corsetto
Domani
I progressi del trattamento chirurgico delle scoliosi continueranno. Il C.D. non sarà stato che una tappa
di questa evoluzione, fortunatamente seguita da molte altre.
Ma domani non ci si potrà più accontentare per le scoliosi idiopatiche, queste deformazioni misteriose
della colonna vertebrale che sono i soli segni apparenti della malattia e che rappresentano l’80% di tutte
le scoliosi strutturali, di migliorare le tecniche operatorie di correzione-fusione. Esse si risolvono sempre
con la perdita definitiva di una delle funzioni più importanti del rachide, la sua mobilità. Il vero
problema è un altro, occorre riprenderlo all’origine.
Le domande che noi ci poniamo da 50 anni sono sempre senza risposta:
- Quale è, o piuttosto quali sono le cause della scoliosi idiopatica?
- Cosa ne determina il senso e la localizzazione?
- Perché è più frequente nelle bambine?
- Perché certe forme sono più evolutive?
- Qual è il suo meccanismo di evoluzione a livello di tutte le componenti, vertebre, dischi e
legamenti?
- Esistono delle microlesioni a questi livelli?
- Ci sono delle anomalie neurologiche, di equilibrio, metaboliche, endocrine o altre associate?
- Quale è il ruolo del fattore genetico?
- Scoliosi idiopatica, perché? Come?
Sento queste domande da 55 anni. I pazienti e le loro famiglie ce le pongono ancora oggi e noi non
sappiamo ancora come rispondere.
Lo sviluppo attraverso il mondo delle nuove biotecnologie deve rendere possibile la scoperta - senza più
tardare - degli elementi che permetteranno di identificare le cause delle scoliosi idiopatiche, di
prevedere la loro evoluzione e di prevenire la loro evoluzione e di prevenire la loro comparsa.
Contribuire a smuovere, al di là delle frontiere, le risorse, le energie e le competenze in ogni disciplina
che possa essere interessata, al fine di esplorare ogni via ed ogni possibile combinazione, è l’obiettivo
che si è dato per il suo programma 2001-2006 la “Fondation pour la Recherche en Pathologie
Rachidienne”. Essa è l’inizio e la continuazione di una lunga storia.
Creata il 22 gennaio 1999
Sotto l’egida dell’Institut de France, essa ha come obiettivo “coordinare, sostenere e promuovere la
ricerca - a livello nazionale ed internazionale - nel campo della salute e più specificatamente in quello
delle malattie della colonna vertebrale”.
Il 21 novembre 2000 una Filiale della Fondazione è stata creata negli Stati Uniti. La sua sede è a
Memphis, Tennessee. Essa sostiene ogni anno un progetto selezionato dalla Scoliosis Research Society.
Ad oggi 45 progetti di ricerca sull’eziopatogenesi della scoliosi idiopatica sono stati sottoposti al
Comitato Scientifico della Fondation. Essi sono pluridisciplinari e provengono da 4 continenti.
19 di essi, fra i più promettenti, sono stati sostenuti per una durata media di 3 anni.
Il Programma 2001 comporta dei progetti di ricerca:
- in Genetica, ricerca condotta presso il John Hopkins Hospital di Baltimora, USA
- in Biomeccanica, ricerca condotta presso l’Ecole Nationale d’Arts et des Métiers, Parigi, Tolosa e
Montreal (Canada)
- in Endocrinologia e neurotrasmissione, ricerca condotta presso la Nihon University School of
Medicine di Tokyo, Giappone
- in Anatomo-patologia, ricerca condotta presso il Nuffield Orthopedic Center di Oxford, Gran
Bretagna
Il Programma 2002 comporta dei progetti di ricerca:
- in Genetica e endocrinologia, ricerca condotta presso l’Ospedale Sainte Justine dell’Università di Montreal, Canada
- in Otorino-laringologia (O.R.L.), ricerca condotta presso l’Ospedale Robert Debré, Parigi
- in Neurologia, ricerca condotta presso la Chinese University di Hong-Kong, Cina
Il Programma 2003 comporta dei progetti di ricerca:
- in Biochimica del sangue, ricerca condotta presso l’Hopital Lariboisière, Parigi
- in Fisiologia neuro-cerebrale, ricerca condotta presso l’Università Laval di Quebec, Canada
- in Fisiologia neurosensoriale, ricerca condotta presso il Centre Hospitalo-Universitaire di
Nancy, Francia
- in Genetica, ricerca condotta presso il Texas Scottish Rite Hospital for Children di Dallas, USA
Il Programma 2004 comporta dei progetti di ricerca:
- in Biomeccanica, ricerca condotta presso il Cedar-Sinai Medical Center, California, USA
- in Genetica molecolare, ricerca condotta presso il John Hopkins University Hospital, Baltimora,
USA
- in Neurologia, ricerca condotta presso il Laboratoire de physiologie de la perception et de
l’action, Francia
- in Genetica, ricerca condotta presso la Washington University School of Medicine, Saint Louis,
USA
Malgrado la loro lontananza geografica, queste equipes si ritrovano ogni anno all’Institut de France per
fare il punto delle loro ricerche e per discutere delle prospettive che esse aprono.
Noi speriamo che tutte queste ricerche associate porteranno ad una migliore conoscenza delle cause e
dei fattori evolutivi di queste deformazioni della colonna vertebrale che colpiscono tanti bambini nel
mondo intero, e che ancora si celano sotto il nome puramente sintomatico di scoliosi idiopatica.
Forse i lavoro di così tanti ricercatori, riuniti nel mondo attraverso la Fondation, permetteranno un
giorno ai chirurghi di deporre i loro strumenti ed ai pazienti di essere liberati dalle costrizioni pesanti,
lunghe ed onerose che impone il loro trattamento, malgrado i progressi successivi ottenuti da mezzo
secolo.
La Fondation si indirizzerà allora verso altri orizzonti.
Restano ancora molte terre da esplorare nel campo delle malattie della colonna vertebrale.
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